BRETTANOMYCES
I lieviti Brettanomyces, sono particolarmente adatti a sopravvivere in ambienti difficili, anche nutrendosi di residui lasciati da altri microrganismi e attivando meccanismi di adattamento impensabili. Dato che è ormai accertata la sua presenza lungo tutta la filiera enologica è molto utile evitare pratiche che potrebbero stimolare la loro crescita e il loro adattamento. Ma la cosa più importante è evitarne il loro sviluppo in cantina controllando tutta l'attrezzatura per la vinificazione che deve essere pulita. Poi dalla diraspatura sino all'imbottigliamento vanno rispettati alcuni parametri di vinificazione. In primis molta attenzione va fatta sui livelli di solfitazione e su quelli delle temperature . Se poi la fermentazione spontanea tarda o non "soddisfa", stenta insomma con lunghe fasi di lentezza, allora il "pericolo" Brett. è imminente . Bisogna comunque anche monitorare tutto " il cliclo di produzione" del vino perchè ad esempio anche durante l'affinamento alcune variabili possono incidere sullo sviluppo di Brettanomyces.
MONITORAGGIO
Le basse cariche cellulari del Brett. sono purtroppo sufficienti a rendere un vino contaminato. Inoltre la capacità del Brett. di rimanere attivo in molte situazioni creano senza dubbio la vita difficile anche per gli analisti e gli esperti. Occorre quindi che l'enologo abbia molto ben presente tutti i limiti e i vantaggi di ciascuna tecnica valida per monitorare almeno due o tre volte ( o il numero necessario) la vita di cantina di un vino. Un adeguato piano di monitoraggio è dunque indispensabile per combattere il Brett. considerando sempre tutti gli strumenti utili di prevenzione e contrasto diretti e indiretti . In primis l'anidrite solforosa, ma anche chitosani e filtrazioni. Poi è anche opportuno conoscere gli effetti di ogni variabile tecnologica sulla microflora considerando che in generale, quando il mosto o il vino sono efficacemente colonizzati da microorganismi utili, difficilmente troveranno spazio quelli " cattivi" del vino " brettato". I rischi di una contaminazione è comunque sempre in agguato. In genere il pericolo lo si ha nelle primissime fasi della vinificazione, prima della fermentazione alcolica , ma poi anche a conclusione della fermentazione malolattica. Poi c'è anche il discorso delle filtrazioni che per alcuni addetti ai lavori sono indispensabili ed evitano ulteriormente il rischio della presenza di Brett. Devo dire che il discorso della filtrazione come quello dei lieviti selezionati è molto complesso. ( vedi di seguito). Bisogna anche dire che a volte ( ed è un godere) ci sono vini non, o poco filtrati puliti e che quindi non vengono "toccati" dal Brett.
NOVITA 2020/23 STOP AI BRETT
L’introduzione di nuove sostanze nella prassi enologica sta cambiando molte pratiche di cantina. L’autorizzazione ultima del chitosano ( anche per i vini bio certificati) è senza dubbio la più importante. Anche perchè riguarda lo stop ai Brettanomyces ( e non solo). Il chitosano è un derivato della chitina, un polisaccaride naturale presente nelle pareti fungine e dei crostacei. ( In enologia è ammesso quello di origine fungina). Esso è il risultato della parziale degradazione della chitina che libera così gruppi amminici responsabili della carica della molecola e della sua attività sulle membrane di batteri e funghi. La primaria importanza nell’utilizzo del chitosano in enologia è la sua comprovata attività anti microbica e in particolare nella azione diretta sui Brettanomyces attraverso un processo di assorbimento e successiva destrutturazione e flocculazione di questi lieviti. Stesso processo dovrebbe accadere anche con i batteri lattici e acetici. A questo proposito, il chitosano è utilizzato in alternativa al lisozima per il controllo delle malolattiche indesiderate o per la stabilizzazione dopo il termine della malolattica. Date queste proprietà il chitosano si sta rivelando anche un prodotto in grado di consentire così una reale riduzione dell’uso della solforosa.
INDAGINE SULLA VARIABILITA' GENETICA DEL BRETT.
In una ricerca fatta dalla Fondazione Mach San Michele All'Adige (Tn) e dall'università di Palermo ( fonte Vite&Vino bimestrale della viticoltura n. 3/2019) si è indagato "alla grande" sulla variabilità genetica e sui tratti fisiologici di interesse enologico di una collezione di Brettanomyces composta da più di 70 individui. Risultato: ben 62 isolati appartengono alla specie Brettanomyces bruxellensis. L'analisi genetica è stata poi approfondita per indagare la biodiversità all'interno della specie Brett. Bruxellensis. E' stato possibile identificare 50 ceppi e solo in 12 casi più isolati sono risultati raggruppabili in un unico biotipo. La biodiversità di questa specie è dunque notevole, anche all'interno di un singolo areale geografico o in una cantina.
BRETTANOMYCES / FENOLI VOLATILI
Un altro esperimento ha preso in considerazione l'attitudine dei ceppi di questo lievito nel produrre fenoli volatili nel vino. I Brett. sono stati inoculati in vini rossi di 5 varietà misurando la concentrazione di etilfenoli dopo 30 giorni di permanenza. E' stata riscontrata una grande variabilità tra ceppi di lievito nel produrre fenoli volatili . Risultato: l'enologo deve affrontare con un approccio consapevole il controllo di questo microarganismo nel senso che la verifica analitica della contaminazione da Brett è sempre necessaria, ma alcune volte non sufficente, proprio perchè non fornisce informazioni sul grado di " virulenza" del singolo ceppo presente nel vino. Occorre per tanto agire anche con un monitoraggio continuativo.
VALUTARE LA PREDISPOSIZIONE DI UN VINO ALLA CONTAMINAZIONE
Premettendo che non tutti i vini sono ugualmente suscettibili alla contaminazione da parte del Brett. l'analisi della filiera enologica che ha portato alla produzione di un determinato vino può comunque darci alcune informazioni sul rischio di alterazione. Sempre da studi del Centro Mach sono state dimostrate relazioni tra andamento stagionale e alterazioni da Brett, così come il grado di maturazione e la presenza di avversità climatiche o di parassiti che aumenterebbero il rischio di una elevata presenza di Brett. Tra i parametri chimici del mosto e/o vino , pH bassi, elevate dosi di etanolo, scarsi fattori nutrizionali e assenza completa di residui zuccherini limitano oggettivamente l'attività di Brett. Ovviamente elevate concentrazioni di SO2 possono essere un presidio contro il Brett, ma spesso questo può essere temporaneo. Anche la concentrazione di sostanze fenoliche, e in particolare di acidi cinnamici, non deve essere trascurata. Queste molecole infatti sono i principali substrati per la produzione di fenoli volatili. Dunque, tecniche agronomiche, grado di maturità delle uve, concentrazione fenolica nel vino, modalità di estrazione ( esempio uso di enzimi in pigiatura, macerazioni prolungate ecc) possono favorire l'accumulo di composti maleodoranti nel vino.
PREVENIRE
Quindi oltre ad evitare una cattiva igiene in cantina e sulle attrezzature, come abbiamo già detto è necessario fare molta attenzione sugli arresti di fermentazione o sulle fermentazioni troppo stentate ( come sugli zuccheri residui una concentrazione di 0,5 g/L di zucchero è sufficiente a questo lievito per svilupparsi e deteriorare il vino). Anche una concentrazione in SO2 attiva (molecolare) inferiore a 0,4 mg/L è pericolosa come un ph - acidà troppo elevata fuori "controllo" che non è ben "bilanciata". Purtroppo, come abbiamo già sottolineato in precedenza anche dopo la malo-lattica non si è esenti da pericoli. Utile anche l’analisi organolettica e i controlli microbiologici e analitici in laboratorio. Comunque come primo strumento per verificare la presenza di Brettanomyces possiamo avvalerci della continua analisi sensoriale. Se si crede di individuare difetti si può fare quindi un’analisi microbiologica su piastre selettive che incubate alcuni giorni rilevano la presenza del presunto lievito/ Brett. Ma non solo. Ecco di seguito due schemi ( tratti da Vite &vino 3/2019) delle principali tecniche analitiche impiegate oggi nel monitoraggio di Brettanomyces e l'effetto di alcune principali pratiche enologiche ( di cui abbiamo parlato) sulla popolazione dei Brettanomyces
La frequenzacon laqualeifenoli volatilisonopresentia livellitali da interferirenellaqualitàdei vini, inpar-ticolare rossi,giustificaunattentomonitoraggiodellapresenzadi tali compostiedella loro eventualeevolu-zione.Leprestazionidellenuovemetodicherapide incromatografialiquidasonoadeguatesiaper quantificarei fenolipresentioltre lecon-centrazioni disoglia organo-letticasiapermetterepreco-cemente nevidenza inqui-namentida Brettanomycesnon ancorasensorialmenteindividuabili,ossiaquandoicompostisono ancorapre-senti a livellodipochimi-crogrammiperlitro.Ladisponibilitàdei nuovimetodidisicurointeresseperI'industriaenologicaper-metteoggi diportarefinal-mentelaquantificazionedivari fenolivolatili dalcampodella ricercaapplicataaquellodelcontrollo dipr
La frequenzacon laqualeifenoli volatilisonopresentia livellitali da interferirenellaqualitàdei vini, inpar-ticolare rossi,giustificaunattentomonitoraggiodellapresenzadi tali compostiedella loro eventualeevolu-zione.Leprestazionidellenuovemetodicherapide incromatografialiquidasonoadeguatesiaper quantificarei fenolipresentioltre lecon-centrazioni disoglia organo-letticasiapermetterepreco-cemente nevidenza inqui-namentida Brettanomycesnon ancorasensorialmenteindividuabili,ossiaquandoicompostisono ancorapre-senti a livellodipochimi-crogrammiperlitro.Ladisponibilitàdei nuovimetodidisicurointeresseperI'industriaenologicaper-metteoggi diportarefinal-mentelaquantificazionedivari fenolivolatili dalcampodella ricercaapplicataaquellodelcontrollo dipr
NANOFILTRAZIONE E CARBONI ATTIVI DALLA FRANCIA CONTRO I VINI BRETTATI
Pare che tra i primi a consigliare l'uso di carboni attivi ( trattamento sul vino) per eliminare i sentori di Brett. siano stati alcuni tecnici “Inter Rhône” che già dal 2006 avevano sviluppato un metodo di eliminazione delle sostanze che durante la vinificazione causano in brett. Loro, in collaborazione con Vaslin Bucher, uno dei marchi più noti della meccanica enologica francese, hanno promosso questo processo che si basa sulla serializzazione di due tecniche di filtrazione: un sistema di nanofiltrazione a membrana e una colonna di carbone attivo. La nanofiltrazione può funzionare solo con piccoli volumi di vino. La colonna di carbonio attivo non è selettiva ed è, invece, più adatta ai grandi quantitativi, ma pare che alla fine , secondo alcuni, comporta la perdita di alcune molecole importanti e cioè danni al vino
IN CANTINA TRA VIGNAIOLI E "PREPARATORI"
" - La fermentazione è spontanea, uso solo lieviti autoctoni e poi il mio vino fa acciaio , poi botte grande , barrique ecc ecc ecc e quindi in cantina faccio il meno possibile -". Sono sempre di più i vignaioli (oppure chi parla per loro) che alla domanda di come producono il loro "nettare" ripetono che è la vigna a far la differenza e non il lavoro che viene fatto in cantina. Quasi una moda per dire che il loro vino subisce pochi interventi enologici. E in effetti ( sempre nel rispetto delle annate) dovrebbe essere proprio così. Ma lo faranno tutti? Senza dubbio è d'obbligo eseguire in cantina quelle operazioni indispensabili per fare un vino buono e pulito. Quindi ogni vignaiolo , enologo o altro addetto ai lavori che si rispetti ha il proprio modo di lavorare, e anche i suoi piccoli segreti. Ma al di là di tutto ciò sarà vero che tutti non intervengono i cantina più di tanto proprio come dicono? Spesso ho i miei dubbi. E vi spiego il perchè. Noto infatti che troppo spesso succede che il produttore mette sul mercato un certo tipo di vino "non troppo suo" ma dettato delle rivistone e blasonate guide del settore con il risultato che più vignaioli di quanto si possa immaginare diventano così dei "preparatori". Tradotto significa che intervengono sui loro vini stando al "diktat" imposto da altri che da lui pretendono un certo tipo di vino. Più " alla moda" , più " piacione" . Quello che molti chiamano "più commerciale" e che fa il mercato il business.... E per questo molti produttori sono disposti a tutto.... E per molti versi è anche giusto così. Si guarda all'etichetta ai premi e non al contenuto insomma con il risultato che si hanno si, vini blasonati , ricercati anche buoni puliti , ma banali e tutti uguali annata dopo annata. Nei casi estremi a volte bevendo questi vini non si riconosce neppure il vitigno da cui dovrebbero provenire! Un vero peccato! E quando personalmente degusto invece un vino buono e pulito sentendoci dentro l'uva con cui è stato prodotto e poi sento anche la differenza delle annate e quindi il rispetto della vigna ecc ecc ne sono felice. Capisco veramente che quel prodotto è unico. Chi l'ha fatto è quindi un vero vignaiolo .
VINI AMARI PIU' NUMEROSI DI QUANTO SI POSSA IMMAGINARE. PERCHE?
Nel vino ci sono alcune componenti amare "nobili" che arrivano dai vinaccioli , dalle bucce dell'uva ecc ecc , ma purtroppo ci sono anche molecole "cattive" prodotte dal metabolismo dei microorganismi che portano a vere e proprie alterazioni che vanno ben oltre e fanno si che un vino sia esageratamente amaro. Si tratta di una vera e propria malattia dovuta da una degradazione ad opera dei batteri lattici del glicerolo con produzione di acroleina, che a sua volta si lega ai polifenoli che creano un forte amaro . Spesso ci si imbatte anche semplicemente in un amaro dato da un eccessivo contenuto di solfati . L' amaro inoltre può arrivare nei vini anche da molecole cedute dal legno ( in primis quello di rovere). Quindi l’amaro è spesso dato anche da un utilizzo sbagliato della barrique o più in generale del legno nuovo. Tutti noi sappiamo che il legno nuovo porta sensuali dolcezze e “vanigliose” sensazioni anche addomesticando in un certo senso il tannino per renderlo più “rotondo”. Ma spesso l’effetto di un suo uso sbagliato( tipo di legno per un determinato vitigno …. tostature ecc ecc) invece di "nobilitare" un vino, può portare, più spesso di quanto si possa immaginare, ad un amaro insopportabile. Poi c’è un altro amaro ancora. Ed è quello delle uve aromatiche (secche) malamente vinificate. Sono infatti sempre di più i moscati e le malvasie secche con un finale amaro molto sgradevole. Uno dei motivi principali è che il residuo zuccherino di queste uve in genere deve compensare la componente amarognola che altrimenti tendere a prendere il sopravvento. Purtroppo il mercato ultimamente chiede vini aromatici sempre più secchi che poi “ escono” troppo amari .
Una delle domande che oggi molti appassionati rivolgono al produttore è quella sugli lieviti .“ Lei usa quelli selezionati o quelli autoctoni?” La risposta, più frequente è questa: " Io uso rigorosamente quelli "autoctoni" della mia mia uva... quelli che mi fornisce il mio consorzio che sono autoctoni ecc ". Inoltre alcuni sostengono che i lieviti selezionati a differenza degli "autoctoni" fanno male alla salute e non rispettano la tipicità di una certa uva raccolta in una determinata vigna ecc. In pratica per alcuni i lieviti selezionati "truccano" il vino. E qui si apre un discorso molto complesso che riguarda sia le varie "contaminazioni" della natura su un certo "terroir", nel senso che i lieviti "autoctoni" a causa appunto delle contaminazioni in natura in vigna e cantina da parte di infiniti altri lieviti compresi quelli selezionati usati in precedenza non sono più , come dire, tanto "puri e indigeni" . Certo non sono i lieviti selezionati delle "industrie" selezionati in laboratorio ma c'è chi sostiene che proprio per le contaminazioni sopra descritte si possano avvicinare. O meglio, per dire che a questo punto si potrebbe anche dire che i lieviti indigeni o autoctoni non esistono! Chi è favorevole al 100% all'uso dei lieviti selezionati sostiene che comunque non influiscono affatto sulla tipicità di un certo vino ecc. Ma per approfondire ancora il discorso è necessario capire bene che cos’è un lievito. Cosa fa durante la fermentazione alcolica e quali sono quelli chiamati " autoctoni" . Oppure quelli chiamati selezionati, sia di prima che seconda e terza generazione. Ah ! Dimenticavo la cosa più importante : i lieviti " autoctoni" presenti in un determinato momento sull’uva e poi in cantina , nei mosti in fermentazione ecc ecc, più che “autoctoni” andrebbero sempre chiamati indigeni.
COSA SONO E COME "LAVORANO" LIEVITI
I lieviti che si sviluppano "in natura" e poi nel mosto ottenuto dalla pigiatura delle uve sono inimmaginabili. E tutti di diverse specie e con differenti caratteristiche e proprietà. Non tutti operano trasformazioni favorevoli alla qualità del vino. E' impossibile descriverli. Vediamo comunque i principali. E cioè: quelli detti “apiculati”, “ossidativi”, “contaminanti” e “fermentativi”. I lieviti apiculati, sono caratterizzati da un’elevata e rapida crescita e producono quantità piuttosto elevate di acido acetico. Fortunatamente sono poco resistenti all’alcol etilico, per cui diminuiscono drasticamente nel numero e nella loro attività quando il mosto in fermentazione supera i quattro gradi di alcol. I lieviti ossidativi invece si sviluppano in presenza di ossigeno e possono essere presenti nei mosti, dove però di solito non trovano il tempo di sviluppasi. Si possono "diffondere" però nei vini conservati in maniera inadeguata, a contatto con l’aria. Questi lieviti producono anche acido acetico e acetaldeide. I lieviti contaminanti sono poi un gruppo piuttosto numeroso e sono favoriti nel loro sviluppo dalle condizioni igieniche precarie delle cantine. Essi riescono a svilupparsi nel vino e a produrre composti di solito non graditi. Per esempio, un lievito contaminante particolarmente pericoloso è per l’appunto il “ nostro” Brettanomyces tipo Bruxellensis . Ma ci sono altre specie di Brett: nanus, anomalus, custersianus, naardenensis ecc. Di tutte queste, la specie più diffusa nel vino è il Bruxellensis, benché talvolta ci sono anche ceppi di anomalus . Infine, abbiamo i lieviti “fermentativi”, ( quelli buoni per intenderci) costituiti in primis dal Saccharomyces Cerevisiae, capaci di far fermentare il mosto che si trasforma correttamente in vino. Tutti questi lieviti ( buoni o cattivi) si muovono. C’è chi nel mosto lavora di più all’inizio della fermentazione per poi fermasi mentre altri aumentano la loro azione ecc ecc.
I LIEVITI E LA SCELTA
Si può dire che "il dilemma" per chi fa il vino è quello di lasciare il mosto libero di fermentare spontaneamente, con il rischio che qualche lievito di quelli "cattivi" possa prevalere su quelli " buoni" rendendo il vino "sporco", oppure oltre a controllare la fermentazione spontanea affinchè questo non succeda e se necessario aggiungere un lievito che tuteli dai molti problemi di scorie maleodoranti, c'è chi preferisce "tagliare corto" e controllare la fermentazione usando da subito lieviti selezionati. Ciò viene fatto per evitare brutte sorprese e irregolarità della fermentazione. Fermentazione che quando ha avvii molto stentati e chiusure lentissime si rischia oltre tutto che si possa dare avvio allo sviluppo di microrganismi cattivi (in primis brett) ossidativi nel vino già in via di realizzazione, compromettendone completamente la qualità olfattiva ecc. E' necessario quindi da subito controllare il tutto , giorno dopo giorno. Alla fine potrebbe andare tutto bene, ma se c'è il minimo sospetto che il proprio vino sia in pericolo bisogna intervenire subito con i lieviti scelti/ selezionati . Non solo quelli offerti sul mercato dalle multinazionali. Oggi esistono anche quelli chiamati "indigeni/ autoctoni" che determinati consorzi hanno come dire "fatto pulire" in laboratorio e che diventano così a tutti gli effetti lieviti scelti. Purtroppo non tutti i consorzi li forniscono . E non tutti i piccoli produttori appartengono a qualche consorzio , con il risultato che questa strada di "selezionarsi" un lievito ad hoc senza ricorrere a quelli prodotti dall'industria richiede purtroppo molto spesso un investimento troppo grande per i piccoli produttori. Comunque ,oggi le industrie mettono sul mercato lieviti scelti/ selezionati di terza generazione ( anche bio) ottimi e non dannosi alla salute.
A PROPOSITO DI SOLFOROSA
Uno degli additivi più chiacchierati è l’anidride solforosa aggiunta in varie forme, tra cui quella di solfito. Questa sostanza presenta molti vantaggi, ma anche alcuni svantaggi. La tendenza ultima è infatti quella di abbatterne ( nel rispetto delle annate) al minimo l’utilizzo. Una sola cosa è certa: al momento non vi sono additivi alternativi con funzioni ed efficienza equiparabili. Tutti sappiamo che produrre vino è una pratica complessa, con molti rischi e punti critici che possono influire sulla qualità del prodotto finale. Quindi per comprendere meglio il motivo dell’utilizzo di questo additivo è necessario considerare i timori del produttore che ha come obiettivo che il suo vino sia almeno conforme agli standard di qualità sanciti dai disciplinari di produzione Così la solforosa è ottima per smorzare le paure del produttore: il suo costo è relativamente basso e le sue molteplici funzioni ( insieme agli lieviti selezionati) permettono di risolvere molti problemi nel corso della trasformazione del vino, oltre ad esaltare le caratteristiche organolettiche e a consentire una conservazione prolungata. Sappiamo che gli zuccheri possono essere trasformati in etanolo grazie ad alcuni lieviti che attuano fermentazione alcolica. Tuttavia, il mosto ospita inizialmente migliaia di microrganismi diversi in cui si confondono questi lieviti utili.Le comunità microbiche possono avviare fermentazioni spontanee che hanno andamenti imprevedibili, talvolta indesiderati o poco redditizi. Infatti, dipende tutto da quali specie microbiche prendono il sopravvento sulle altre. Quindi il produttore deve adottare alcuni accorgimenti in modo da indirizzare la trasformazione del suo mosto verso una più efficiente fermentazione alcolica. Gestire la temperatura e le condizioni ambientali non è sufficiente per ottenere il miglior risultato o comunque non garantisce al produttore la qualità attesa e l’omogeneità del prodotto finito. L’anidride solforosa ha anzitutto un’azione antisettica selettiva nei confronti di batteri e muffe. Essa può essere sfruttata in quanto gioca a sfavore di microrganismi indesiderati: in particolar modo, è ridotta la quantità dei batteri responsabili della fermentazione acetica e di altri lieviti cattivi come il nostro Brett. I risultati di molte ricerche condotte in questi anni hanno evidenziato come la solfitazione favorisca i lieviti ad alto potere alcoligeno, ad esempio i lieviti ellittici del genere Saccharomyces, come S. cerevisiae e S. bayanus e gioca invece a sfavore dei “lieviti cattivi. L’anidride solforosa ha infatti la capacità di bloccare l’aldeide acetica, un intermedio della formazione dell’acido acetico, evitando così che il mosto (e di conseguenza il vino) si trasformi in aceto.L’SO2 è usata anche in quanto ha un effetto positivo sulla defecazione del mosto, cioè la separazione delle sostanze fecciose in sospensione e la loro precipitazione che è essenziale per far sì che il vino non risulti torbido. Per questi motivi nella maggior parte dei protocolli di vinificazione è prevista l’aggiunta di anidride solforosa. In realtà è coinvolta anche in altri processi che avvengono durante la fermentazione alcolica. La quantità massima di anidride solforosa che può essere presente nel vino è sancita con precisione per legge. E anche se è sempre meglio “ stare più bassi possibile di solforosa.... pur avendo vini poluti .. e qui sta l' abilità del produttore ... le tecniche ecc ) anche perchè la solforosa se troppa oltre a generare poi nel vino un odore sgradevole ( cerino... zolfo) non fa certo bene ai nostri organi, fegato per primo. Per legge la quantità è fissata a 150 mg/l per i vini rossi e 200 mg/l per i bianchi e rosati.
Quando parliamo di acidità nel vino, in primis dobbiamo parlare di mosti. E’ qui che si formano essenzialmente agli acidi tartarico, malico/lattico e citrico. Oltre a questi acidi si possono anche riscontrare acidi fenolici della serie cinnamica (legati all’acido tartarico / acidi sotto forma polimerica (acidi galatturonico, glucuronico) e acidi che provengono dal metabolismo della Botrytis cinerea (principalmente gluconico, 2-oxo-gluconico, mucico).Il grado di maturazione e “le condizioni” dell’uva insieme a vari fattori ambientali condizionano in maniera determinante l’acidità dei mosti e, in particolare, il tenore in acido malico. Gli acidi si trovano nei mosti e nei vini sotto forma indissociata e dissociata, le cui concentrazioni dipendono dal pH.
L’acidità intesa come pH ha effetti sulle caratteristiche sensoriali e sulla stabilità del vino. Essa influenza: pure la crescita dei batteri responsabili della fermentazione malolattica e delle alterazioni del vino (a pH basso lo sviluppo è inibito); la solubilità dei tartrati; il tenore di anidride solforosa molecolare, l’azione degli enzimi, la polimerizzazione dei pigmenti; i fenomeni di ossidazione dei polifenoli e altro. Ma l’importante è conoscere la diverse espressioni dell’acidità. Quella totale, quella reale (o pH) e l’acidità volatile, proprio per la loro influenza sui caratteri sensoriali del vino.L’acidità totale L’acidità totale di un mosto o di un vino è espressione di tutte le specie acide, dagli acidi minerali agli acidi organici, agli amminoacidi. La partecipazione di ogni acido all’acidità totale è determinata dalla sua forza, da cui dipendono sia il suo stato di dissociazione sia il suo stato di salificazione. Non si può prevedere l’acidità di un vino a partire da quella del mosto, perché una parte degli acidi dell’uva può essere consumata dai lieviti e dai batteri che conducono la fermentazione malolattica, determinando così una diminuzione dell’acidità totale, mentre gli acido succinico e lattico prodotti da questi microrganismi contribuiscono ad un suo incremento.
L’acidità volatile: È dovuta ad acidi di piccolo peso molecolare; è un parametro chimico-fisico tenuto sotto controllo nel corso della fermentazione e dell’affinamento dei vini. Il suo tenore è legato alla qualità del vino. Infatti un eccesso di acidità volatile si rivela negativo per il vino, ed è dovuta ad una concentrazione elevata in acido acetico. L’acidità volatile di un vino è costituita dalle forme libere e salificate degli acidi volatili. È espressa in meq/L o in g/L di acido solforico in Francia e in g/L di acido acetico in Italia e negli altri paesi. L’acido acetico è di origine fermentativa (fermentazione alcolica e malolattica), ma può derivare dall’ossidazione dell’etanolo da parte dei batteri acetici o da altre fermentazioni batteriche.Il pH o acidità reale, è una misura della concentrazione degli ioni H+ presenti in soluzione. Il pH è una espressione degli equilibri di dissociazione dei diversi acidi del vino, per una data temperatura e per una data pressione. Il pH dei mosti e dei vini varia tra 2.8 e 4.0; esso dipende dal livello di maturità dell’uva (aumenta con il proseguire della maturità), dalla cultivar, dalle pratiche colturali, dalla produzione per ha, dall’andamento stagionale e dalla composizione minerale del terreno. Il pH può variare anche durante la vinificazione, in funzione della quantità di etanolo prodotta dai lieviti, della precipitazione dei sali tartarici, del consumo di acido malico e amminoacidi, della produzione di acido succinico e dell’esterificazione parziale dell’acido tartarico. Influenza la solubilità dei sali tartarici, in particolare del bitartrato di potassio e del tartrato di calcio.
IN BREVE
FERMENTAZIONE ALCOLICA
La fermentazione alcolica è un processo naturale che consente la trasformazione del succo dell'uva - il mosto - in vino. La fermentazione alcolica, o primaria è un complesso fenomeno biochimico. Durante vari processi, lo zucchero contenuto nel succo dell'uva è convertito dagli enzimi dei lieviti in alcol etilico ecc.
SVINATURA
Si Tratta del primo travaso che il cantiniere esegue quando il processo di trasformazione da mosto a vino è concluso secondo i requisiti voluti. Tale operazione è tipica della fermentazione con macerazione ovvero la vinificazione in rosso o in rosato. Il vino poi richiede altre fasi prima di essere consumato nonché ulteriori trattamenti di cantina
FILTRAZIONE
In generale per filtrazione si intende la separazione delle particelle solide in sospensione in un liquido, dal liquido stesso che le contiene, per mezzo del passaggio del prodotto attraverso una superficie filtrante. Ci sono tanti tipi di filtri e ci sono anche molti coadiuvanti di filtrazione. I più usati sono: farina fossile, perlite, cellulosa e gel di silice. La farina fossile è il coadiuvante più utilizzato e viene chiamata anche “sabbia di diatomee” in quanto è una roccia che deriva dai sedimenti fossili di particolari alghe della famiglia delle diatomee. Ha lo svantaggio di un alto costo di smaltimento in quanto è considerato un rifiuto speciale. Altro handicap è il rischio ( se usata in eccedenza) di rilasciare nel vino metalli pesanti . La perlite è invece una roccia vulcanica. In genere la perlite viene utilizzata nei filtri rotativi o filtri pressa. Il gel di silice è invece un polimero capace di legarsi alle altre molecole proteiche che sono causa degli intorbidamenti nel vino e spesso viene usato insieme alla farina fossile. (a.m.)
MICRO-OSSIGENAZIONE O MICROSSEGINAZIONE
Oggi , si parla molto anche della tecnica di micro-ossigenazione . Per molti addetti ai lavori la microsseginazione è uno prezioso strumento applicativo che permette di ottenere risultati enologici importanti sia in fase fermentativa, permettendo un corretto svolgimento della fermentazione e della attività dei lieviti anche senza dover ricorrere a rimontaggi * all'aria ecc.Ma di cosa si tratta? In pratica piccole quantità di ossigeno vengono somministrate al vino (sia rosso che bianco) in modo lento e continuo, attraverso le pareti delle barrique o della botte oppure tramite un apposito macchinario, il microsseginatore, al fine di innescare reazioni che portano al “miglioramento organolettico” del vino spesso in termini diminuzione della sensazione di astringenza nel vino e stabilizzazione del colore. In definitiva è uno strumento utile per regolare il potenziale di ossidoriduzione del vino, sia rosso che bianco, al fine di evitare fenomeni di riduzione troppo spinta e insorgenza di idrogeno solforato (sentore di uova marce). Ma Attenzione . E’ molto importante che l'inoculazione di ossigeno sia effettuata con la massima linearità e costanza in quanto eventuali “ sbagli” possono causare “ l’effetto contrario “ dando origine a fenomeni di ossidazione locale che possono poi causare alterazioni del prodotto.
*rimontaggio è un termine utilizzato per indicare un'operazione di cantina tipica della macerazione dei vini rossi. Per estrazione di colore, tannino ed aromi dalle bucce dell'uva una certa quantità di mosto/vino viene periodicamente prelevata dalla base e pompata alla sommità della vasca in modo che il cappello, cioè le vinacce salite in superficie grazie alla produzione di anidride carbonica durante la fermentazione alcolica, vengano periodicamente bagnate da “nuovo” mosto/vino